capricci

Come sopravvivere a un capriccio, senza uscire di testa

E’ durato un’ora intera, ma ce l’ho fatta. Era partito come uno dei soliti capricci ieri a mezzogiorno, poi è degenerato in una sceneggiata memorabile, che in certi momenti ha rischiato di travolgermi e farmi cedere.
Ma procediamo con ordine.
Come si manifesta il tipico “capriccio”?
Il tuo adorabile bambino assume a un tratto un comportamento irrazionale, prepotente e plateale caratterizzato da ribellione, proteste, provocazioni e opposizione a oltranza, che si può verificare nelle situazioni più diverse.
Il tuo angioletto sembra intrattabile e irragionevole, si rifiuta di obbedire a qualsiasi regola o richiesta, pretende di essere accontentato, oppure è lamentoso, irritabile, non gli va bene niente e frigna per un nonnulla.
Per sopravvivere ai capricci ci vuole un costante allenamento, e non c’è dubbio che i nostri figli ci diano ampiamente modo di farlo…

In pratica, con questa forma di ribellione il bambino vuole misurare la sua libertà e la disponibilità dell’adulto.
Ecco, la mia disponibilità ieri era pari circa a zero. Dico “circa”, perché se durante il capriccio si fosse manifestato un bisogno sensato di Fabio sarei anche stata disponibile ad ascoltarlo.

Il suo bisogno, però, era unicamente quello di bere un succo di frutta appena prima di pranzo, e al mio “no” si è scatenato il finimondo. Fargli capire il motivo del mio rifiuto era perfettamente inutile e, infatti, dopo la prima breve spiegazione mi sono fermata.

Lui era un disco rotto, e mi guardava con occhi supplichevoli. Io stavo preparando il pranzo e lui tentava di impedirmelo in ogni modo.

Più volte sono stata tentata di urlargli addosso di piantarla, ma ho fatto ricorso a tutte le mie risorse di pazienza e ho evitato di farlo.

La strategia più utile, però, è quella di mettersi in modalità “esc” e rifugiarsi in uno stato direi di trance, estraniandosi quasi totalmente dalla situazione disturbante.

I vicini avranno pensato che sono una mamma degenere, che lascia strepitare disperato il suo bambino per un’ora, ma in certi casi più che mai il giudizio degli altri devi solo fartelo scivolare addosso.

Guardavo l’orologio: 10 minuti, 20 minuti, mezz’ora, e lui non mollava. Nel frattempo, il pranzo era pronto, e io mi sono seduta a mangiare.
Io, calma e serena (in apparenza…), mentre Fabio, ignorato e isterico, proseguiva convinto la sua autogestione.
Quaranta minuti, 50 minuti, un’ora, ed ecco che il pianto si fa più flebile e meno ostinato, l’espressione sul viso di Fabio comincia a ricomporsi e io aspetto.
L’attesa viene premiata e nel giro di cinque minuti mio figlio torna ad essere un bambino dalle sembianze rassicuranti, che addirittura si siede a tavola e mangia tranquillo.
D’accordo, anche stavolta è andata, ma quanti altri momenti così ci saranno…!
Tanti o pochi, l’importante è non scoraggiarsi 😉
A presto,
Adele

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