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Comunicare con i bambini: questo funziona!

Negli ultimi giorni ci siamo accorti che usare ricompense e punizioni, cioè gli strumenti che la disciplina tradizionale ci mette a disposizione, non è certo facile. Per lo meno, non è facile usarli in modo efficace, schivando tutti gli effetti indesiderati che portano con sé.

Ma ci sarà qualcosa che può funzionare?

Secondo il nostro Gordon, per esercitare un’influenza positiva sui bambini esistono valide alternative alla disciplina tradizionale, che sostengono da una parte l’autorevolezza del genitore e, dall’altra, una crescita serena del bambino e lo sviluppo della sua autonomia.

Gordon illustra diverse alternative, da adattare alle varie situazioni in cui possiamo venire a trovarci con i nostri figli. 
Il cuore dei suoi suggerimenti, tuttavia, mi sembra sia nella proposta di impiegare con i nostri figli due strategie comunicative ben precise:

– Il messaggio in prima persona
– L’ascolto attivo

Parlare in prima persona significa esprimersi con chiarezza e franchezza, e insegnare ai nostri figli a fare altrettanto. 
Ascoltare in modo attivo vuol dire dimostrare vero interesse e partecipazione concreta a ciò che l’altro mi sta comunicando, e aiutarlo a trovare da solo una soluzione ai suoi problemi.

Per quanto riguarda i messaggi in prima persona, Gordon ne distingue tre tipi:
1. Il messaggio positivo in prima persona,
2. Il messaggio di confronto in prima persona,
3. Il messaggio preventivo in prima persona.

1. Il messaggio positivo in prima persona può essere una valida alternativa alla lode. E’ un messaggio che comunica in modo chiaro ciò che il comportamento dell’altro ha provocato in noi, come ha influenzato il nostro stato d’animo e il motivo per cui l’ha provocato, l’effetto tangibile che ha prodotto.

Qualche esempio:
Mi sono sentita davvero sollevata quando ho visto che avevi già rimesso in ordine il soggiorno. Ero così stanca dopo il lavoro che non sopportavo l’idea di dover riordinare tutto da sola!”
Invece di un semplice “Sei stato davvero premuroso a riordinare il soggiorno”

Mi sono molto emozionata quando sei salito sul palco, ho visto che ti brillavano gli occhi!”
Al posto di ” Hai recitato benissimo”

Questi messaggi hanno il vantaggio di non esprimere giudizi o valutazioni sull’altro. Sono messaggi che comunicano qualcosa di noi, i sentimenti che proviamo “qui e ora” in modo spontaneo. Naturalmente, dovranno essere messaggi sinceri e autentici, per influenzare davvero positivamente i bambini.

2. Il messaggio di confronto in prima persona esprime invece ciò che proviamo di fronte a un comportamento inaccettabile di nostro figlio. E’ un messaggio in cui l’adulto rivela se stesso, i propri sentimenti; non contiene accuse o valutazioni negative verso il bambino, quindi non avrà l’effetto di umiliarlo o colpevolizzarlo, non intaccherà la sua autostima, come invece potrebbe fare un messaggio in seconda persona, del tipo:

“Dovresti vergognarti!”
“Sei un disastro!”
“Allora non capisci proprio niente!”
“Piantala, altrimenti ti mando in camera tua!”

Questo tipo di messaggi danneggia l’autostima del bambino e lo mette sulla difensiva. Un bambino colpevolizzato e mortificato oppone resistenza al cambiamento e non sarà ben disposto a venire incontro alle richieste dell’adulto.
Senza tralasciare il fatto che questi messaggi dimostrano mancanza di rispetto per l’altra persona. E non è che mancare di rispetto a un bambino sia meno grave di quando lo facciamo con un adulto…

Messaggi come:
“Quando il volume della tv è così alto, non riesco a parlare con tuo padre”
“Quando usi le tempere e rovesci i colori sul lavandino, io poi devo pulire tutto! Sono stanca di pulire sempre quando sporchi e non come fare per evitarlo”

mantengono invece la responsabilità dalla parte dell’adulto e coinvolgono il bambino nella situazione, lanciandogli un appello e chiedendo il suo aiuto per risolvere la situazione. E i bambini possono rivelarsi sorprendentemente creativi quando sono stimolati a trovare da sé una soluzione.

Questi messaggi, che non mortificano il bambino, probabilmente lo renderanno più disponibile a modificare il proprio comportamento, per rispetto verso l’altro. Cioè verso di noi, il genitore che si sforza di essere autorevole, che loro amano e apprezzano e di cui cercano l’approvazione.

3. Il messaggio preventivo in prima persona, infine, comunica ai nostri figli un nostro bisogno, il cui soddisfacimento richiederà, in un futuro più o meno prossimo, la loro collaborazione. 
Che si tratti della spesa al supermercato, della prossima vacanza o della visita di un ospite speciale a casa nostra, questi messaggi hanno lo scopo di far conoscere in anticipo al bambino cosa ci aspettiamo da lui. 

“Mi piacerebbe che parlassimo adesso di cosa c’è da preparare prima di partire per il mare, così avremo tempo di fare tutto, e di come ci dovremo comportare in albergo.”

“Oggi pomeriggio andremo a fare la spesa e vorrei ricordare insieme a te quali sono le regole da rispettare quando siamo in un supermercato, così potremo  sbrigarci senza problemi”

Questo tipo di messaggi, spiega Gordon, induce i bambini a intraprendere, in futuro, una determinata azione per non provocare il dispiacere dell’adulto e li prepara ai possibili cambiamenti che potremmo volere da loro in una certa situazione.

Gordon riporta molte testimonianze concrete a sostegno delle sue tesi. Vi riporto un esempio relativo a una situazione verificatasi in un asilo.
I bambini sono stati divisi in due gruppi, e collocati in due classi. 
Al primo gruppo l’educatrice ha detto: “Questi giochi non devono essere toccati, perché sono molto fragili e non ne ho altri. Se si rompono non potrò più usarli”. Si tratta di un messaggio preventivo in prima persona.
Il messaggio al secondo gruppo suonava invece così: “Guai a voi se toccate questi giocattoli, se scopro che l’avete fatto vi punirò!”

Bene, i bambini sono stati lasciati soli per 20 minuti e il risultato è stato che quelli del primo gruppo hanno disubbidito molto meno di quelli del secondo.
Perché? Il messaggio in prima persona ha attivato il “freno interno” dei bambini, invece di porre un freno esterno, su cui i bambini sentono di non avere alcun controllo. 



E l’ascolto attivo?

Durante un dialogo con nostro figlio, offrire un ascolto attivo significa rispondergli in modo tale da esprimere la nostra comprensione e accettazione empatica di ciò che lui sta comunicando e provando. Significa fargli capire che siamo davvero interessati a ciò che sta dicendo e che siamo in grado di metterci nei suoi panni. 

Prima ascoltiamo e poi rispondiamo, riflettendo con parole nostre quello che nostro figlio ci ha detto, dimostrando di averlo capito. 

Ti riporto un esempio di Gordon, in cui l’ascolto attivo viene usato al posto della lode:

Luca: mamma,pensi che sia migliorato nel tenere in ordine la mia stanza?
Mamma: mi pare che tu pensi di essere migliorato, vero Luca? 
Luca: sì, in effetti mi sembra un po’ meglio rispetto a prima.
Mamma: vedi dei miglioramenti?
Luca: Sì, però mi dimentico ancora di svuotare il cestino.
Mamma: immagino per te sia difficile ricordarti di svuotarlo.
Luca: infatti. Credo di aver bisogno che qualcosa me lo ricordi. Magari potrei preparare un cartello e appenderlo alla porta.

La mamma non ha valutato, non ha lodato, ma si è fatta specchio dei sentimenti del figlio, e lo ha stimolato a trovare da solo la soluzione a un problema emerso durante il dialogo. 
E’ il figlio stesso che esprime una valutazione sui propri progressi nel riordinare la stanza, e che trova una soluzione efficace..

Il beneficio maggiore di questo approccio penso sia il fatto che si offre al bambino un’occasione di crescita, di far maturare il proprio senso di responsabilità, di imparare a svolgere un ruolo attivo nella risoluzione di problemi. 

E prima si comincia, meglio è.

I miei bambini sono piccoli – due anni e tre anni e mezzo – ma anche con loro è possibile parlare in prima persona e ascoltarli in modo attivo, chiaramente in riferimento alle esperienze semplici che fanno parte della loro vita: una macchinina che si rompe, il pupazzo preferito che non si trova, i loro piccoli e grandi progressi quotidiani, le inevitabili difficoltà. 
Vi posso assicurare che questo tipo di approccio spesso mi permette di evitare l’esplodere di una crisi, e di aiutarli a calmarsi.

Si tratta di uno stile comunicativo in cui credo, e che penso sia utile sviluppare anche in previsione dei conflitti dell’adolescenza. 
Insomma, se “prendo la mano” adesso, magari ci arriverò più preparata :-).

Se volete saperne di più, continuate a seguirmi!

Buona comunicazione a tutti,

a presto,

Adele














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