Vado a ritroso. Sì, qualche tempo fa ho raccontato la nascita del mio secondogenito, Marco, ma ora vorrei tornare alle origini, a quando la mamma imperfetta che è in me si è affacciata al mondo per la prima volta.
Venerdì mattina, secondo controllo dopo la scadenza del termine.
“Tutto bene, ma il liquido amniotico sta un po’ diminuendo. Abbiamo davanti il weekend ed è meglio non rischiare, signora. Direi che la ricoveriamo e facciamo nascere il bambino.”
Cosa? Ho capito bene? Sta davvero arrivando il momento? Come se cadessi dal pero, come se non sapessi che era solo questione di giorni, di ore. Improvvisamente una strana sensazione alla bocca dello stomaco, e il magone incombente.
Ok, ricoveriamoci e facciamo quel che c’è da fare.
Il ginecologo di turno mi visita e mi annuncia che proveranno a indurre il travaglio con il catetere di foley.
Cosa? Ho letto pagine e pagine su travaglio, parto e compagnia bella, ma di questo catetere di foley non ne ho mai sentito parlare! Cominciamo bene…
“Se funziona entro 24 ore, bene, altrimenti dovremo ricorrere ai farmaci”.
E va bene, andiamo in giro per i corridoi con questo coso attaccato, che non è che fosse proprio comodissimo, e attendiamo.
Dopo qualche ora, verso sera, il simpatico aggeggio sembra cominciare a fare effetto, e avverto i primi timidi dolorini.
Mi sentivo in una situazione surreale. Pensavo che di lì a poco tutto sarebbe cambiato per sempre, ma non sapevo esattamente come, nè in che modo avrei vissuto e affrontato il mio diventare mamma.
Cena leggera, davanti a me la notte. Ecco, io che avevo sempre sperato di non dover affrontare il travaglio di notte, stavo invece per farlo, presumibilmente.
I dolori aumentano molto gradualmente, e ancora sono sopportabili.
L’ostetrica che mi visita dice che la dilatazione è iniziata, ma che c’è ancora tempo…Mio marito, che intanto ha fatto amicizia con quello della mia compagna di stanza, cerca di dormire accomodato in una poltrona alla bell’e meglio, mentre io comincio ad agitarmi un po’.
Non posso scappare, è una situazione irreversibile e in qualche modo, che al momento ignoro, il bambino dovrà uscire dal mio corpo.
Mi alzo in piedi e mi appoggio al muro per sopportare meglio le contrazioni, che nel frattempo si sono fatte più regolari e più dolorose.
Verso le 3.30 del mattino l’ostetrica mi visita e mi dice “Siamo a 4 cm, è ora di andare in sala parto!”. Via, andiamo dunque incontro all’ignoto, e vediamo cosa succede.
Fuori dalla sala parto trovo un sorridente ostetrico. Sì, un uomo. Non avevo pensato a quest’eventualità, perchè non avevo mai visto un ostetrico uomo prima, ma va bene così. In effetti è stato super…gentile, competente, incoraggiante, tranquillizzante.
Mio marito pensava che, una volta varcata la soglia della sala parto, sarebbe stato tutto veloce, e invece…
Da manuale: un cm di dilatazione all’ora. Io mi sentivo su un altro pianeta; la luce notturna soffusa, l’orologio digitale proprio di fronte al lettino, il monitoraggio per controllare le contrazioni, ormai sempre più vicine.
Devo dire che il corso preparto mi è servito, per lo meno per le tecniche di respirazione. Le ho messe in pratica e mi hanno aiutato davvero. Un po’ meno mi sono servite le tecniche di rilassamento, tipo “Immagina di essere un albero, le gambe sono le radici…ora muovi i tuoi rami…” con sottofondo di rumori del bosco. No, no, non riuscivo proprio a concentrarmi e sbirciavo cosa facevano le altre. Una noia, almeno per me.
Ma torniamo al dunque. Scusatemi, ma io tutta la magia del parto non l’ho sentita…me ne avevano parlato con grandi sorrisi, ma io più che altro mi sentivo esausta. La più grande faticaccia mai fatta. Ok, me lo sarò anche meritata, perchè non ho voluto fare l’epidurale, che pure in quell’ospedale è garantita 24 ore su 24, 7 giorni su 7.
Ero così stanca che tra una contrazione e l’altra mi addormentavo, anche solo per pochi secondi. Caldo e freddo, freddo e caldo. Da un lato, poi dall’altro, in piedi e poi seduta, accovacciata. Non ho mai urlato, mentre prima di entrare avevo sentito urla strazianti provenire dalla sala accanto alla mia.
“Non preoccuparti, mi aveva detto il mio amico ostetrico, andrà tutto bene”.
E mi sentivo un mostro, bruttissima, anche se non mi vedevo allo specchio.
Si fa mattina, ma io non mi rendo molto conto dello scorrere del tempo.
Alle nove, finalmente, dilatazione 10 cm.
Certo che la natura è portentosa, questo ho pensato quando ho cominciato a sentire le spinte. Tutto andava bene, ma arrivati al clou, la testolina tornava indietro. Le ostetriche (nel frattempo era cambiato il turno e ora erano tutte donne) hanno provato a intervenire, ma la forza non bastava.
“Qui ci vuole un uomo” le ho sentite dire.
E così è arrivato lui, un medico tutto pepe che, valutata la situazione, mi ha fatto quella che poi ho scoperto essere la “manovra di Kristeller”. In pratica, mi è salito sulla pancia, ha dato una spinta che mi ha bloccato il respiro e poi…puff! Alle 9.48 la testa di Fabio ha fatto capolino e con un bel pianto si è fatto sentire.
Non ho pianto, non ho pensato che quello fosse il momento più bello della mia vita, sono proprio una mamma degenere. Ero felice che fosse andato tutto bene e di essere riuscita ad uscirne sana e salva 🙂
Appena ho visto Fabio, ho riconosciuto in lui gli occhi del suo papà, che si è sciolto prendendolo subito in braccio.
Il giorno più bello, per me, non è stato quello della nascita dei miei bambini, ma i tanti giorni che sono seguiti, pieni di scoperte e di tempo passato insieme a conoscerci.
E se vuoi leggere questa esperienza dal punto di vista del papà imperfetto, clicca qui.
Se invece ti interessa sapere quali sono i timori più frequenti legati al parto, e come affrontarli, clicca qui.
A presto
Adele
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