Come promesso, eccomi a parlare dei metodi tradizionali impiegati per insegnare la disciplina, e dei loro limiti.
Le punizioni, sostiene Gordon, non funzionano. Le ragioni a sostegno di questa tesi sono varie, e mentre le leggevo il loro buonsenso mi ha davvero colpito.
Sentite un po’…
Prima di tutto va detto che le punizioni, apparentemente, sembra che funzionino.
Presentano una “validità di facciata”.
Quando ne infliggiamo una, e il bambino la subisce senza ribellarsi, pare in effetti che il problema sia risolto: ti sei comportato male, io ti punisco, tu capisci di aver sbagliato e non ripeterai più questo comportamento. Tutto questo in teoria, perché se fosse davvero così non avremmo bisogno di ricorrere alla punizione una seconda volta, e poi una terza, e poi…
Già qui cominciamo quindi a intravedere qualche smagliatura nel metodo.
In realtà, usare la punizione come metodo per modificare un comportamento indesiderato richiede una competenza piuttosto elevata.
Perché la punizione sia efficace e perché il suo effetto sia duraturo, è necessario che vengano soddisfatte alcune condizioni.
Vediamole:
1. Se punisci un comportamento una volta, devi punirlo sempre. In caso contrario, ti dimostri incoerente e invii un messaggio confuso a tuo figlio.
2. Il comportamento indesiderato va punito subito dopo che si è verificato, altrimenti la punizione perde molta efficacia e, se inflitta quando il bambino è tranquillo e magari nemmeno si ricorda il motivo del contendere, sarà percepita come ancora più ingiusta.
3. La punizione non va inflitta in presenza di altre persone, per non accrescere il senso di umiliazione del bambino.
4. Non devi mai premiare il comportamento indesiderato. Sembra scontato, ma in realtà non è così semplice essere sempre coerenti nell’applicazione delle punizioni.
Se, per esempio, tu punisci tuo figlio perché fa pericolose acrobazie sul divano, mentre qualche ora dopo tuo marito, per lo stesso motivo, lo elogia, la contraddizione è evidente, e l’efficacia della punizione crolla miseramente.
5. La punizione non deve essere né troppo frequente, né troppo severa, altrimenti il bambino finirà per chiudersi in se stesso e arrendersi, pensando che “Tanto, non va bene niente di quello che faccio”.
6. Il problema è, però, che le punizioni lievi non funzionano comunque! Sì, perché se la punizione per il suo comportamento non è poi granché, se è sopportabile, allora il bambino penserà che tanto vale comportarsi come vuole.
7. Decidi di passare a punizioni severe? Attenzione, perché possono provocare gravi danni, fisici e psicologici. Tra l’altro, di solito le punizioni severe vengono inflitte non perché si sia riflettuto seriamente sulla loro utilità, ma semplicemente per scaricare rabbia e frustrazione. Inoltre, gli studi dimostrano che punire severamente i bambini causa in loro esplosioni di aggressività, dovuta alla frustrazione che provano.
8. Più i bambini crescono, più le punizioni perdono di efficacia. Bisognerebbe inventarne sempre di nuove, adeguate all’età dei figli…che fatica!
9. Per finire, c’è molta verità nella massima “Quando il gatto non c’è, i topi ballano!”. La punizione, infatti, previene un comportamento sgradito solo quando il controllante è presente.
Questo vale in famiglia, ma anche a scuola: pensate a come i ragazzi si comportano quando in classe c’è il loro insegnante rigido e “controllante” e a come poi cambiano registro quando arriva un supplente…
La conclusione a cui arriva Gordon, e che mi sembra molto sensata, è che la disciplina punitiva degli adulti non produce bambini autodisciplinati, quindi non ci aiuta a perseguire i nostri obiettivi di genitore.
Che cosa fare, quindi? Dovremmo forse passare all’uso delle ricompense, per modificare il comportamento dei nostri figli?
Non credere che sia così semplice…ma te ne parlerò nel prossimo post! 🙂
A presto,
Adele