Non sono una persona che “fa gruppo” facilmente. Io prima devo osservare, studiare la situazione, percepire se c’è una porta da cui entrare senza essere notata troppo. Insomma, solitamente mi pongo tutta una serie di questioni, spesso inutilmente, lo riconosco, che rendono difficoltoso il mio ingresso ufficiale nel gruppo in questione e che inevitabilmente rallentano la conoscenza di nuove persone.
In un gruppo in particolare, tuttavia, mi ci sono ritrovata così, naturalmente e senza preavviso, senza poter effettuare nessun sopralluogo e senza perdermi in elucubrazioni mentali per decidere se entrarci o meno: il gruppo dei genitori.
Detto così suona anche bene, identifica un ruolo tanto complicato quanto essenziale, un’attività “socialmente utile”. Racchiude in sé diverse categorie: le mamme del parco, le mamme dell’asilo, della scuola, quelle della piscina o del basket, i papà presenti e i papà della domenica, i genitori presenzialisti e gli assenteisti, gli incasinati e gli organizzati. Tutto bene, fin qui.
Tutto bene, se non fosse che in alcune circostanze il gruppo dei genitori diventa il gruppo di “quelli che hanno figli”, naturalmente contrapposto a quelli che non ne hanno. Forse non sono gruppi contrapposti, ma solo paralleli. Due linee destinate a non incontrarsi mai.
Siamo stati invitati a una serata organizzata da una coppia di amici per distribuire gli inviti al loro matrimonio. Nè i futuri sposi né gli altri partecipanti alla serata hanno figli.
L’idea è quella di trovarsi a casa loro per un lungo aperitivo in casa o giardino se il tempo lo permette e io penso “Bene, così i bambini possono scorrazzare un po’ giro e quando è ora della nanna ce ne andiamo senza dar fastidio a nessuno.” Nessun problema, quindi.
Quasi casualmente vengo a sapere che i programmi sono cambiati e che invece si andrà al ristorante, prenotato per le nove di sera. Le nove, l’ora in cui i pargoli vanno a letto. Al ristorante, il luogo che con i bambini evito come la peste, se non in occasioni super eccezionali, perché spesso affollato e con poco spazio per muoversi, quindi fonte di nervosismo e stress per i bimbi e per noi.
L’unica possibilità sarebbe lasciare a casa i bambini, ma quella sera non ho nessuno che possa stare con loro e quindi spiego alla mia amica che a malincuore noi dovremo rinunciare.
Poco male, ci sarà di sicuro un’altra occasione per ricevere l’invito. Il problema, infatti, non è rinunciare alla serata, ma il fatto che improvvisamente mi sono sentita “quella che ha i figli”, cioè un peso.
L’amarezza deriva dal fatto che gli altri amici sono stati interpellati per scegliere un posto in cui andare, noi no, e dal fatto che ho scoperto la variazione del programma per caso, quando ho mandato un messaggio per chiedere conferma della serata.
Capisco benissimo che è complicato tenere conto delle esigenze di tutti, che è impossibile cambiare data e che la scelta del ristorante è stata dettata dal fatto che siamo in tanti e a casa si starebbe stretti, ma è mancata la comunicazione, il contatto tra “quelli che hanno figli” e quelli che non ne hanno. E’ mancata l’attenzione alle esigenze di chi ha due bambini piccoli, e al fatto che non è sempre scontato che possano essere lasciati a casa.
Se fossi stata avvisata per tempo avrei avuto la consapevolezza di essere stata considerata anche come genitore, e non solo come amica. Non sarei potuta andare ugualmente, ma questa piccola delusione non ci sarebbe.
E non è l’unico caso! Sempre a proposito di matrimoni, un’altra coppia di amici vorrebbe radunarci tutti a circa 100 km di distanza da qui per una grigliata in cui distribuire questi benedetti inviti…Tra l’altro in una casa non abitata e quindi priva di ogni comodità. Indovinate chi non ci andrà?
Non è che voglio fare la difficile, ma le esigenze dei miei bambini non posso e non voglio metterle fuori dalla porta!
Tra gli amici che frequentiamo di più siamo gli unici con figli ed è probabilmente per questo che i senza prole non colgono le esigenze diverse che abbiamo ora. In teoria uno se le immagina, ma la pratica può essere molto diversa.
In realtà, però, mi chiedo “Io mi comporterei così?”
E, scusate, ma la risposta è no.
Io avrei chiamato la mia amica con figli, se non per interpellarla, almeno per spiegarle che per alcune ragioni avevamo deciso di cambiare programmi e che mi rendevo conto che questo poteva comportarle dei problemi.
Io avrei tenuto conto della realtà che vive un’amica con bambini piccoli, e in effetti l’ho fatto, quando di figli non ne avevo. Avrei magari proposto per noi un’altra situazione in cui incontrarci, più a misura di genitore, oppure le avrei chiesto se aveva la possibilità di lasciare a casa i bambini e venire al ristorante con noi.
Piccole attenzioni che ti fanno sentire di appartenere al gruppo “amici genitori” e non al gruppo, un po’ fastidioso, di “quelli con figli”.
A presto,
Adele